KAPALABHATI

 

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KAPALA, significa cranio, testa, parte “alta” del corpo, sommità.

BHATI, significa pulizia (ossigenazione ed energizzazione).

 

Kapalabhati dunque è tradotto con “Cranio Lucente” o “Lucentezza del Capo” in quanto deriva dal sanscrito “kapala” che significa “cranio” e da “bhati” che significa “pulire”, riferendosi alla lucidità che dà l’ossigenazione del corpo rispetto al torpore che blocca, chiude e ottenebra i sensi.

 

E’ una pratica respiratoria rapida e di stimolo alla disintossicazione e pulizia interna (PRANAYAMA) a cui segue una ritenzione (KUMBHAKA) =  considerato dunque un KRIYA,  pratica di pulizia che ossigena e dona un senso di freschezza alla testa e al cervello.


E’ citata nei testi e fa parte della tradizione “classica” dello Yoga, ma (come spesso accade) può avere alcune varianti a seconda del Maestro che la trasmette.

In particolare, io l’ho appresa dal Dr. Bhole, (ormai defunto) che insegnava questa “tecnica” come composta di 2 fasi:

1° fase: RESPIRAZIONE RAPIDA ADDOMINALE (simile a Bhastrika Pranayama)
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2° fase: RITENZIONE a PIENO (Antara Kumbhaka) con JALANDHARA BANDHA


Prima di spiegare come si pratica, ancora alcune precisazioni:

Kapalabhati è una tecnica di Hatha Yoga, mediante la quale lo yogin (o il semplice praticante) ossigena il corpo, in particolare le vie respiratorie e i seni frontali.
Kapalabhati è compresa tra le pratiche degli Shatkarman (purificazione del corpo), come descritto nei testi sacri del Gheranda Samhita, Hatha Yoga Pradipika e nei testi di Pranayama (tecniche di respirazione).


BENEFICI

Si realizza un completo ricambio di aria all’interno dei polmoni, si purificano le vie nasali, si ossigenano gli organi interni e si tonifica la fascia addominale.

Una tecnica potente, utilizzata per ossigenare i tessuti, purificare i polmoni e liberare le cavità nasali, citando a rivitalizzare l’organismo.
Consente di eliminare una grande percentuale di anidride carbonica e, con l’inspirazione passiva, per la semplice azione muscolare addominale, riesce ad ossigenare bene tutto il corpo.
La sua azione sulla fascia addominale, che agisce come una “pompa”, migliora la circolazione sanguigna e linfatica  addominale, mobilizza il muscolo del diaframma, può aiutare a migliorare la peristalsi intestinale.
Stimola la circolazione e la elasticità polmonare.
Aiuta anche ad acquisire maggiore “freschezza” e lucidità mentale.


ESECUZIONE

>>> Per praticare Kapalabhati, è necessario assumere una POSIZIONE purché comoda e stabile e che consenta il controllo dell’addome.
La classica postura di Padmasana,è consigliata ai praticanti un pò più “esperti” e in grado di rimanere in questa “forma” senza fatica, altrimenti va bene stare seduti a gambe incrociate, o simili, in ginocchio, su una panchetta o anche su una sedia.
L’importante è che la nostra colonna vertebrale sia eretta, il tratto cervicale in asse e con le mani appoggiate comodamente sulle ginocchia, rimanendo concentrati sulla parte bassa del ventre, al di sotto dell’ombelico.

 

>>>  Si procede prima con qualche RESPIRO lento e profondo, poi si “entra” nell’esecuzione tecnica Kapalabhati:
una serie di espirazioni forzate, rapide e contraendo i muscoli addominali e con soffio rapidi e deciso dalle narici (pratica base).
Se possibile una si inizia con una ventina di “colpi” di mantice (1 serie).
L’ inspiro è  breve e riflesso, avviene come naturale compensazione dell’espiro ed in modo non volontario, dovuto solamente alla depressione che si instaura nei polmoni a seguito dell’espirazione forzata stessa.
Infine si realizzano di nuovo alcune inspirazioni ed espirazioni lente e profonde.
Si può iniziare con 3 serie da 10 rapidi respiri, per arrivare ad un graduale aumento sempre con una pausa tra una serie e l’altra, in cui il respiro torna ad essere lento e profondo.
Se si percepisce un capogiro  dato dall’ iperventilazione forzata), bisogna rallentare e fermarsi per il tempo necessario al recupero.
Kapalabhati non è indicato per chi soffre di malattie polmonari ed è sconsigliato ai cardiopatici.

 

>>> Poi si inspira lentamente, si trattiene l’aria in RITENZIONE a polmoni pieni volontariamente (Sahita Antara Kumbhaka) e si pratica contemporaneamente il blocco, la chiusura della glottide (Jalandhara BANDHA, stringendo l’interno della gola e inclinando la testa in avanti.
Come portare il mento verso lo sterno, come creare una separazione tra corpo e testa, come mantenere il prana nel busto. Poi (dopo qualche secondo o quando va bene per noi) si scioglie il bandha, e si espira  e si può percepire chiaramente l’ossigeno, il fresco, e per qualcuno la percezione può essere più sottile… il prana, la luce che sale verso la testa, nutrendo il cervello.

La sensazione di fresco e luce è manifesta quando si pratica in modo corretto e si è anche guidati da un’ insegnante, che può aiutare a praticare bene e stimolare la capacità di affinare la percezione.


E’ comunque meglio imparare questa antica pratica respiratoria direttamente da un’insegnante.
Se le indicazioni in questo articolo non sono sufficientemente chiare, potete contattarci per una spiegazione dal vivo.


Maddalena Caccamo Bertolino